Roma, 24 maggio. Tavola rotonda sulla cooperazione allo sviluppo. L’intervento di Nicoletta Rocchi

Posted on 25 maggio 2010 by Amministratore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Combattere la povertà: lavoro dignitoso e partecipazione sociale

Il nostro impegno per la lotta alla povertà, alle ingiustizie ed alle discriminazioni, viene da lontano, per non dire che fa parte della stessa ragion d’essere del sindacato: un sindacato è solidale o non è.
Come CGIL, per essere più operativi ed efficaci abbiamo dato vita nel 1984 all’istituto di cooperazione internazionale, Progetto Sviluppo, che si è accreditato nel corso di questi anni come ONG di emanazione sindacale, ma a tutti gli effetti parte integrante di quel sistema organizzato di società civile che ci permette ancora di poter andare ancora a testa alta in giro per il mondo.

L’esperienza che abbiamo maturato in questi anni, sia nelle sedi sindacali internazionali che nelle sedi proprie della cooperazione allo sviluppo, governative, intergovernative e non governative, ci ha portato ad una riflessione, che vogliamo condividere in questa sede. Fin dall’inizio ci siamo battuti affinché la dimensione del lavoro acquistasse piena cittadinanza all’interno delle politiche di cooperazione dei governi e delle agenzie internazionali. Ci riferiamo naturalmente al lavoro con la L maiuscola, il Lavoro Dignitoso, quello che si basa su relazioni e su condizioni di rispetto e di esercizio dei diritti fondamentali delle persone, uomini e donne, il lavoro  da cui ciascuno, senza distinzione di sesso o di etnia, possa trarre i mezzi per un’esistenza decorosa, le condizioni di crescita personale e di partecipazione all’organizzazione sociale di cui fa parte. Senza tutto ciò infatti non vi può essere sviluppo sostenibile: vale sempre la pena ricordarlo, i diritti fondamentali del lavoro sono diritti umani fondamentali ed universali, come riconosciuto dalla nostra Costituzione, come riconosciuto dalla Carta Universale dei Diritti dell’Umanità del 1948 e dal Patto sui Diritti Sociali, Economici e Culturali delle Nazioni Unite ratificato a Vienna nel 1966,  e come ripreso nell’Obiettivo 1 dei Development Millenium Goals.

Tuttavia, nonostante tanta produzione di principi, dichiarazioni, accordi, trattati e normative internazionali e nazionali, dal terreno della lotta alla povertà e delle politiche ed i programmi di cooperazione allo sviluppo, la dimensione del lavoro è rimasta estranea, esclusa, considerata non pertinente dagli esperti di cooperazione e dalle istituzioni stesse.
Neanche lo sforzo e l’azione dell’Organizzazione Internazionale del lavoro, a tutt’oggi, è riuscita a rompere questa barriera di pregiudizio e di ignoranza, per la quale,  la cooperazione allo sviluppo e la lotta alla povertà si materializza in programmi di assistenza, settoriali o integrati che siano, che escludono le parti sociali, le rappresentanze dei lavoratori, cioè tutte le forme di rappresentanza democratica e, ancor più grave, non prendono in considerazione i diritti del lavoro come diritti umani universali, fondamentali e indivisibili.

Nelle politiche della cooperazione allo sviluppo, dunque, si riconosce il diritto ad avere la salute, l’educazione, la libertà di espressione, ma non si riconosce il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici ad organizzarsi liberamente nei luoghi di lavoro, ad avere un contratto collettivo, ad avere protezione sociale, salari uguali senza discriminazione tra uomo e donna, tra componenti di diversi gruppi etnici, avere diritto all’assistenza legale ed a equi-processi in caso di conflitti, ecc. ecc. 
Questa dimensione del lavoro, almeno fino ad ora,  è mancata o ampiamente sottovalutata da Governi, Agenzie Internazionali e dalla stessa Unione Europea, che solamente negli ultimi anni, grazie all’azione coordinata dall’OIL, dalla CSI e da SOLIDAR, ha iniziato un processo di confronto e di riflessione, coinvolgendo tre diverse Direzioni Generali; Sviluppo, Commercio, Impiego. Si è iniziato a prendere in considerazione la dimensione del Lavoro Dignitoso, come un asse centrale che attraversa orizzontalmente tutte le politiche messe in campo, da cui non poter più prescindere per  ottenere e verificare l’efficacia e la coerenza delle proprie politiche interne e di cooperazione con i paesi terzi.

Se passi avanti sono stati compiuti, l’Italia, a nostro avviso, ne è rimasta esclusa. Dobbiamo purtroppo registrare il ritardo del nostro paese, in confronto a ciò che altri paesi dell’Unione Europea hanno fatto o stanno facendo in materia di cooperazione allo sviluppo. E non mi voglio riferire al noto problema, dei tagli all’APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo) italiano. Questi sono un fatto molto serio che non ci fa onore. Voglio qui rimanere però all’approccio politico-culturale e alla strategia di azione contro la povertà: mi riferisco al carattere assistenzialista della cooperazione italiana e l’assenza di linee strategiche che prendano in considerazione la dimensione del Lavoro Dignitoso, come di una condizione indispensabile per costruire dinamiche di sviluppo sostenibile, per l’inclusione sociale, per la messa in moto di sistemi virtuosi di economia e di democrazia nei paesi poveri.
Mentre assistiamo in altri paesi, come la Spagna, il Belgio, l’Inghilterra,  per non parlare dei paesi nordici, a politiche di APS che oramai vedono consolidata la dimensione del lavoro, la partecipazione delle organizzazioni sindacali e l’inserimento della qualità del lavoro, come indicatori per misurare l’efficacia dell’aiuto, e, diciamolo pure, vedono importanti poste di finanziamento a favore di programmi rivolti ad estendere i diritti del lavoro,  nel nostro paese, almeno fino ad oggi, tale risultato è stato impossibile ottenere.

Per questo se ha senso la ricerca, il coordinamento, la reciproca migliore conoscenza di tutti i soggetti che operano nella cooperazione allo sviluppo – e noi siamo interessatissimi a tale ricerca – credo che quello del lavoro dignitoso sia un tema centrale con cui misurarci, soprattutto in questa fase di crisi globale, di allargamento delle disuguaglianze anche nei paesi più sviluppati,di crescita delle paure che possono produrre la crescita dell’egoismo e della chiusura. Gli ingredienti classici della guerra tra poveri.

Nicoletta Rocchi

Roma, 24 maggio 2010